H. 6. Flutina (Harmoniflüte) anonima. Prima
metà del XX secolo, probabilmente indiana. Questo strumento è un piccolo
armonium ad ance libere il cui mantice, posto posteriormente, era azionato con
la mano sinistra mentre la destra si muoveva sulla tastiera. L’estensione è dal
Do2 al Re4, i tasti cromatici sono in ebano mentre i diatonici sono placcati in
madreperla. La scatola, in abete, misura, a soffietto chiuso, 55 x 29 cm, h 25
cm. Questi strumenti nacquero in Francia ma attualmente sono molto diffusi in
India e Pakistan.
K. 4. Gong sospeso (Kempul), con suo il
mazzuolo, risalente alla fine del '700. Lo strumento è di manifattura
indonesiana, utilizzato nei complessi gamelan sulle isole di Java o di Bali. È
interamente fuso in una lega di bronzo con 10 parti di rame e 3 di stagno, del
diametro di mm. 667 e presenta il tipico rigonfiamento centrale, del diam. di
148. Il bordo è di 124 ed è rientrante per un diametro posteriore di 609 e un
peso di ca. 11,8 Kg.
K. 5. Gong indiano, interamente fuso in
bronzo, di 41 cm. di diametro, metà '800. Il gong è sorretto da una struttura
in palissandro straordinariamente intarsiata.
K. 6. Gong, (serie di quattro), anonimi, di
ottima fattura, databili alla metà del XX secolo, interamente in bronzo. Gli
strumenti sono del diametro di: 1) mm. 298 ed emette la nota Fa, 2) mm. 345 ed
emette la nota Re bem., 3) mm. 378 ed emette la nota Si bem., e 4) mm. 382 ed
emette la nota La.
M. 39. Richiamo per rapaci (falconi), simile allo
xun cinese, costruito in maniera tradizionale con terracotta di fiume cotta in
forno a legna e dipinta di nero. Questo richiamo, databile ai primi del
Novecento, è un flauto globulare, piriforme, di mm. 67 di altezza, con quattro
fori anteriori e uno posteriore.
N. 1. Corno in avorio a insufflazione laterale
ricavato da una zanna di elefante, databile alla metà del XIX secolo e
proveniente dallo Zaire, attuale Repubblica Democratica del Congo, (ex Congo
belga). Lo strumento si presenta colorato con un colorante naturale marrone
(derivato dalla cottura di resine e fiori), con un’imboccatura romboidale
situata al terzo superiore e il suono è prodotto dalla messa in vibrazione
delle labbra del suonatore. Lo strumento presenta una scultura antropomorfa al
terzo superiore mentre il corpo è liscio, pesa circa 2 kg. è lungo 741 mm. e il
diametro della campana è di 87 x 69 mm.
N. 2. Corno da segnalazione e da caccia
proveniente dallo Zaire. Lo strumento, a insufflazione laterale, è costituito
da un pezzo di avorio cavo e tinto di rosso scuro, ricoperto di cuoio per due
terzi, dal basso fino al foro d’insufflazione. Il terzo superiore presenta il
foro d’insufflazione ovale e in rilievo e la parte superiore che termina con un
piccolo foro. Lo strumento è lungo 334 mm.
N. 4. Corno ad ancia dell’Africa del nord.
Strumento popolare della prima metà del XX secolo, costituito da una canna con
un’ancia battente da suonare incapsulata (tenendola all’interno della bocca) a
cinque fori anteriori e da un padiglione costituito da un corno di bue.
N. 5. Zanza proveniente dalla Tanzania,
databile all’inizio del XX secolo. Le zanze sono diffuse in tutta l’Africa;
quelle provenienti dal sud del bacino del Congo sono costituite da una serie di
linguette metalliche situate su un risuonatore con un’estremità legata a un
ponticello metallico e l’altra libera per essere pizzicata. Questo strumento
presenta undici linguette (ne manca una) e un risuonatore ligneo trapezoidale
lungo 265 mm. e largo 110 e 128 mm. con dei semi all’interno che, scotendo lo
strumento, provocano un suono ritmico.
N. 11. Crotali marocchini (karkabas). Questi
strumenti sono una sorta di nacchere metalliche, costituite da due coppie di
piattini che sono percossi tra loro. I crotali sono strumenti ritmici
antichissimi, diffusi in tutto il mondo, forgiati nelle più svariate forme e
costruiti con i materiali più diversi.
N. 12. Arpa-liuto (kora) popolare dell’Africa
occidentale (Senegal) costituita da una cassa di risonanza ricavata dalla metà
di una zucca ricoperta da una pelle (di antilope?) dipinta. Le sei corde
partono da diverse altezze del sottile manico e si ancorano all’estremità
inferiore del piano armonico passando per i lati verticali del ponticello. A
fianco al manico, sulla cassa, sono infissi altri due sottili pezzi di legno
con delle conchiglie ornamentali che servono al suonatore per impugnare lo
strumento e suonare le corde con i pollici.
N. 13. Sarangi, fidula dell’India settentrionale,
costruita nella prima metà del XX secolo. Lo strumento è costituito da un’ampia
cassetta dei piroli, un corto e robusto manico e una cassa formata dal guscio
ligneo di forma semicilidrica lievemente svasata al centro e il piano armonico
in pergamena. Lo strumento è riccamente decorato con disegni floreali rossi e
verdi su sfondo nero, mentre sul manico vi è una figura femminile. Vi sono
quattro corde metalliche per l’arco e nove di risonanza i cui piroli sono
infissi sul lato sinistro del manico. I piroli sono dipinti di nero con la
testa dorata.
N. 14. Organo a bocca giapponese (Sho), XIX secolo
proveniente dalla collezione The estate / collection of world renowned
ethnomusicologist Elisabeth Kidd. Lo sho è uno degli strumenti più antichi del
Giappone (le prime descrizioni risalgono a 3000 anni fa) ed è costituito da
diciassette canne di bambù con un foro per le dita e all’interno un’ancia
libera; il sonatore soffia in un serbatoio d’aria di legno alla base delle
canne e produce il suono tappando con le dita i fori sulle canne e mettendo
così in vibrazione l’ancia corrispondente. Questo strumento presenta
diciassette canne di varia dimensione (di cui tre mute e quattordici suonabili)
ed è databile alla metà del XIX secolo ed è firmato dal costruttore con due
caratteri cinesi.
N. 15. Sitar indiano costruito tra la fine del XIX
e l’inizio del XX secolo. Questo strumento, tipico dell’India settentrionale è
costituito da un corpo ricavato da una zucca, un piano armonico in legno
corredato da decorazioni lignee e metalliche, un manico e un cavigliere di
legno, ponticelli e capotasti in osso e diciannove tasti metallici. Il canto è
dato da cinque corde che partono dal cavigliere e due dal manico, legate a
grossi piroli a testa tonda, giungono al ponticello (mobile) passando sopra a
tastature arcuate di metallo. Sotto le tastature corrono undici corde a
vibrazione simpatica, sistemate in un incavo del manico e fissate a piroli
laterali a testa piatta. Lo strumento è lungo mm. 1294 e la larghezza del piano
armonico è mm. 335.
N. 16. Fidula popolare databile alla seconda metà
del XIX secolo, costruita dai Gond, popolazione dell’India centrale, e
costituita da un corpo di legno di forma tronco-conica, con un piano armonico
in pelle e un lungo manico ligneo, tornito, non tastabile, alla fine del quale
vi sono infissi tre piroli per le tre corde metalliche che armano questo
strumento. Lo strumento era suonato con un corto e tozzo archetto e le corde
passano all’interno del ponticello, mobile, in legno. Lo strumento è lungo mm.
1009 e il diametro del piano armonico è di mm. 219.
N. 18. Lyra popolare etiope (kerar) a cassetta,
databile alla seconda metà del XIX secolo. Lo strumento è costituito da una
cassa di legno semicilindrica con un piano armonico di pelle con cinque fori
armonici. La struttura è costituita da due montanti infissi nella cassa che
sostengono superiormente un traversino e inferiormente un piccolo pezzo di
legno con funzione di cordiera. Le sei corde sono agganciate dal traversino
superiore alla cordiera e il ponticello è costituito dal bordo inferiore della
cassa. Questo strumento, suonato a pizzico o con un plettro di cuoio o in
unghia animale, è utilizzato per accompagnare il canto nelle festività
religiose e nei rituali magici, in particolare quelli associati alle pratiche
terapeutiche.
N. 19. Dombra, strumento nazionale del Kazakistan,
sorta di liuto a manico stretto e lungo, affine al saz turco. Lo strumento
presenta due corde di canto tese dal cavigliere e tastate sul lungo manico
suddiviso in venti tasti mobili legati attorno al manico. Il corpo, piriforme,
e il piano armonico dipinto e con centro una piccola buca, sono in abete.
N. 20. Rebab (rabab) nepalese. Il rebab è uno
strumento diffuso nei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, appartiene
alla famiglia dei liuti ma viene suonato con un corto archetto. Questo
strumento, costruito nella metà del XX secolo, ha quattro corde metalliche non
tastabili sul manico, ancorate su un unico bottone al fondo dello strumento. Il
rabab è ricavato da un unico pezzo di legno duro, riccamente intagliato, la
pelle di capra del piano armonico ricopre solo la parte distale su cui è
poggiato il ponticello. L’archetto è costituito da una canna molto curvata su
cui sono tesi i crini. Lunghezza mm. 475, larghezza max. mm.145.
N. 21. Rubab (robab) afgano, risalente alla
seconda metà del XIX secolo. Il rubab appartiene alla famiglia dei liuti ed è
suonato a pizzico. Questo è lo strumento nazionale afgano, è armato con sei
corde di melodia, tastabili sul corto manico con tre tasti di budello
avvolgenti il manico e tese dai bischeri alloggiati nel cavigliere, con una
sorta di riccio riccamente intagliato e si fissano al bottone inferiore. Le
corde sono in budello (due) e in metallo (quattro). Vi sono anche dieci corde
metalliche che vibrano per simpatia, tese da dei bischeri fissati sul lato
sinistro del manico, passano all’interno del piccolo ponticello e si ancorano
anch’esse al bottone inferiore dello strumento. Il piano armonico è costituito
da una pelle di capra tesa sul corpo dello strumento e costituito da un unico
pezzo di legno a “otto”, molto profondo e riccamente decorato con borchiette e
fregi in argento basso mentre sul manico vi sono ricchi fregi in osso. Le
dimensioni sono lunghezza mm. 909, la cassa è alta mm. 216 e larga mm. 169.
N. 22. Clarinetto doppio, strumento nordafricano
databile ai primi decenni del XX secolo. È uno strumento ad ancia scorticata e,
nel tempo, si è mantenuto invariato sia nella forma sia nel materiale con cui è
costruito. Lo strumento si compone di tre parti fondamentali: le ance (composte
di una piccola canna femmina abilmente intagliata e rinforzata con del filo
impeciato), il corpo costituito da due canne parallele con cinque fori ciascuna
tenute insieme da due pezzi di pelle e il padiglione finale di corno. Lo
strumento, di mm. 338 di lunghezza, si suona con la tecnica del fiato continuo.
N. 23. Tromba tibetana (dung chen) databile alla
metà del XX secolo, in rame e ottone, telescopica (divisibile in tre parti),
lunga mm. 1340. Questo è lo strumento tipico dei rituali del buddismo tibetano,
la sua lunghezza è compresa tra 1 e 3 mt. ma si possono raggiungere anche i 4,5
mt. Per essere suonati, gli strumenti più lunghi, di solito sono fissati su un
supporto di legno. I dung chen utilizzati in Himalaya e le altre zone di
montagna producono un suono grave con effetto eco per cui questo strumento non
è utilizzato per melodie ma per il tono di base e, al fine di ottenere un suono
continuo, gli strumenti utilizzati sono sempre in coppia o i suonatori
utilizzano il respiro circolare. Il loro suono può essere ascoltato all'alba e
al tramonto, prima dell'inizio rituali che invitano alla preghiera e in
importanti processioni.
N. 24. Marimba camerunense, strumento di difficile
datazione, costruito interamente in legno scuro, probabilmente nella prima metà
del XX secolo. È costituito da due montanti laterali antropomorfi, finemente
intagliati, che sorreggono due assi su cui sono allocate cinque assicelle
sonore; il numero limitato di lamelle indica che esso non aveva funzioni
melodiche ma serviva a fornire segnalazioni per gli abitanti dei villaggi. Le
dimensioni approssimative sono lunghezza mm. 602, larghezza mm. 332, altezza mm.
304.
N. 25. Zanza proveniente da Camerun, databile
all’inizio del XX secolo. È costituito da un unico pezzo di legno scuro
finemente intagliato a forma di donna con capo e piedi mentre il corpo,
piriforme, è scavato e su di esso è tesa una membrana di pelle animale con un
foro triangolare. Sulla membrana sono fissate, tra due ponticelli di legno
chiaro, otto linguette lignee. Lo strumento è alto mm. 671.
N. 26. Marimba centrafricana, costituita da una
struttura portante a parallelepipedo su cui sono allocate otto assicelle
sonore. Tutta la struttura è tenuta insieme da delle funicelle e, sotto le
assicelle, sono legate tre piccole zucche svuotate in funzione di risuonatori.
Su questo strumento, le cui note sono poste in decrescendo, si possono eseguire
semplici melodie con forti connotati ritmici.
N. 27. Esrar, strumento popolare ad arco
dell’India settentrionale, databile ai primi decenni del XX secolo, in
palissandro, lungo mm. 905, con piroli di legno dolce e due fasce di ottone ai
lati della tastiera. Questo strumento è un incrocio tra il sitar e il sarangi,
dal primo prende il lungo collo, armato con quattro corde di canto e quindici
che vibrano per simpatia le quali però sono ancorate a piroli posti su di una
fascia di legno applicata al lato del manico: dal secondo la tecnica esecutiva
e la piccola cassa in legno con un restringimento mediano e con il piano
armonico in pelle. L’esrar ha le corde di canto accordate Fa, Do, Do, Sol
mentre le corde di risonanza vengono accordate dal Do3 al Do5 ed è usato nella
musica d’arte come strumento solista o, nel Bengala, per accompagnare il canto
di voci femminili.
N. 28. Pi’pa’ strumento tradizionale cinese, sorta
di liuto a cassa piriforme piatta e sottile, armato i quattro corde accordate
Do, Fa, Sol, Do. Strumento databile ai primi decenni de XX secolo, presenta
cinque grossi tasti sul manico e quattordici sulla tavola che non ha buche, il
cavigliere a falcetto ha quattro lunghi bischeri lignei.
N. 29. Yueh ch’in (chitarra luna), strumento
tradizionale cinese, a pizzico, dotato di quattro corde accordate per quinte a
due a due Do, Do, La, La. Strumento databile ai primi decenni de XX secolo. La
cassa è tonda e piatta e presenta due fori armonici a semiluna sui lati, sul
sottile manico sono disposti diciassette tasti in osso e il cavigliere a
falcetto ospita quattro lunghi bischeri di legno e osso.
N. 30. Pau de Chuva (Palo de lluvia, bastone della
pioggia, Rainstick), cileno, costituito da un cilindro ricavato da un cactus
essiccato, della lunghezza di mm. 405 per un diametro di mm, 58, chiuso alle
estremità, con all’interno un'intelaiatura a spirale di chiodi fatti con spine
di cactus e riempito con polvere di conchiglie, semi e sassolini. Questo
idiofono a scuotimento è diffuso soprattutto in America centro-meridionale, ma
anche in Africa ed Oceania; il bastone della pioggia ha origini antichissime, e
ancora oggi, viene utilizzato non solo per scopi musicali, ma anche in
cerimonie religiose, propiziatorie per il raccolto o per la pioggia. Fin
dall'antichità le popolazioni centroamericane lo utilizzavano inoltre nelle
cure delle malattie del sistema nervoso, conferendo al suono rilassante simile
ad acqua dello strumento, perciò allo strumento stesso, poteri magici.
N. 31. Zanza antropomorfa camerunese, databile ai
primi decenni del XX secolo. Questo strumento, ascrivibile al gruppo delle
zanze costruite al nord del bacino del Congo, presenta sette lamelle lignee,
disposte tra due lamelle orizzontali e fissate con una stringa di cuoio al
piano armonico costituito da una tavoletta di legno rettangolare (mm. 181 x
155). Questa è posizionata su un pezzo di legno scuro, cavo, scolpito, sulla
zona corrispondente al torso di uomo con le braccia al cielo, volto ben
definito e lobi delle orecchie perforati, con gambe e piedi che permettono allo
strumento di rimanere in posizione verticale per una altezza di mm. 521.
N. 32. Arpa africana, di provenienza camerunese,
databile ai primi decenni del XX secolo. Questo strumento ha una cassa lignea
ovoidale (mm. 120 x 171 e di altezza mm. 84) ricoperta di pelli diverse con un
piano armonico, sempre in pelle, su cui sono stati praticati due fori, e da cui
partono cinque corde. Queste sono ancorate su cinque bischeri lignei posti
all’estremità del manico di legno ricurvo, lungo mm. 465, fissato alla cassa e
alla cui sommità vi è scolpito un volto umano.
N. 33. Shimedaiko giapponese utilizzato sia nel
teatro Nō (能) sia nei riti shintoisti. Il Nō è
una forma di teatro sorta in Giappone nel XIV secolo ed è caratterizzato dalla
lentezza, da una grazia spartana e dall'uso di maschere caratteristiche. I
testi del Nō sono costruiti in modo da poter essere interpretati liberamente
dallo spettatore, ciò è dovuto in parte alla peculiarità della lingua che
presenta numerosi omofoni. In alcuni riti shintoisti questo tamburo è suonato
con le dita dalle giovani, durante le cerimonie. Questo strumento è un taiko di
piccole dimensioni nel quale la pelle è fissata a degli anelli esistenti sul
tamburo ed è perciò rimovibile, risale alla seconda metà del 1800 e proviene
dalla provincia di Gifu. Lo strumento è in legno, pelle e cordame di fibra
naturale. Il diametro delle pelli è mm. 350, quello del fusto è mm. 255 mentre
l’altezza è di mm. 144. Il tamburo è ottenuto da un singolo tronco di albero
scavato in verticale e laccato con lacca naturale Urushi sul quale sono tese le
due pelli tenute in tensione dalle corde.
N. 34. Shamisen Yanagawa giapponese a tre corde,
databile alla metà del XIX secolo. Questo è uno strumento musicale della
famiglia dei liuti, suonato a plettro (bachi) e utilizzato per
l'accompagnamento durante le rappresentazioni del teatro Kabuki e Bunraku e durante
lo tsutome (letteralmente servizio o funzione) buddista. Lo shamisen è uno
strumento a intonazione relativa, ovvero l'altezza delle note cambia a seconda
delle preferenze ed esistono anche differenti modi di accordarlo. I tipi di
accordatura più utilizzati sono: honchoshi in cui tra le prime due corde vi è
un intervallo di quarta giusta e tra la seconda e la terza corda un intervallo
di quinta giusta, niagari in cui vi è un quinta giusta tra le prime due corde e
una quarta tra la seconda e la terza, sansagari in cui vi è una quarta giusta
tra tutte e tre le corde. Sebbene di per se lo shamisen sia un cordofono, in
alcuni generi (nagauta) il bachi viene sbattuto su un rinforzo semicircolare
della cassa armonica (chiamato bachigawa) e nel gidayubushi viene, invece,
colpita la pelle della cassa funzionando, così, anche da strumento a
percussione. La parte superiore della cassa è protetta da una copertura a forma
di pelle di serpente, laccata rossa, conosciuta come kake dō. Il dou (corpo),
quadrangolare di m. 198 di lato, è in Karin o mela cotogna cinese e ricoperto,
superiormente e inferiormente, da pelle (gatto o cane). Lo strumento, lungo mm.
995, è armato con tre corde in seta che, partendo da una cordiera in corda di
fibra naturale, scorrono sul sao (manico) stretto e non tastato, di Koki, un
legno duro importato dall'Himalaya, e realizzato in tre parti incastrate tra
loro, per finire su tre eleganti piroli. Il bachi è in legno, smontabile in due
parti, e provvisto di una protezione per la parte terminale, il ponticello è in
osso e il tutto è custodito nella scatola originale.
N. 35. Ho-ko, piccolo taiko (mitsudomoe) della
tradizione buddhista. Questi tamburi sono presenti nei templi buddhisti e il
loro suono rappresenta la voce del Buddha, sono quasi sempre tenuti sospesi
all’interno di una struttura lignea e percossi con un batacchio ligneo. Questo
strumento è di dimensioni ridotte per cui potrebbe essere stato usato per le
cerimonie di devozione domestica, sulle pelli sono dipinte le tre virgole in
rosso, nero e verde. Le pelli sono inchiodate al fusto con grossi chiodi, mentre
delle corde ancorate a due anelli metallici posti sul fusto garantiscono il
posizionamento in sospensione. Il diametro è di mm. 202 mentre l’altezza è di
mm. 84. Lo strumento è databile alla metà del XX secolo.
N. 36. Taiko giapponese della liturgia scintoista,
utilizzato per accompagnare le preghiere al cielo. Questo tamburo è tenuto
sospeso ed è percosso con dei battenti di legno, presenta due pelli tese su un
fusto ligneo e tenute in tensione da grossi chiodi e tre anelli metallici con
delle corde che ne assicurano la sospensione. Lo strumento risale agli ultimi
decenni del XIX secolo. Il diametro è di mm. 345 mentre l’altezza è di mm. 99.
N. 37. Shakuhachi, flauto giapponese diritto in
bambù dotato di cinque fori, quattro anteriori e uno posteriore. È introdotto
in Giappone dalla Cina e utilizzato nella liturgia buddista zen. Nasce dunque
come strumento di meditazione e preghiera per poi essere utilizzato nelle varie
espressioni della musica giapponese, da quella tradizionale a quella
contemporanea. Lo shakuhachi può emettere tutte le note di una scala cromatica,
attraverso una singolare tecnica con angolazioni/inclinazioni del capo e la parziale
chiusura/apertura dei fori. Questo
strumento, costituito da un unico pezzo di bambù, è lungo mm. 545 ed è tagliato
in Re potendo emettere, con le cinque posizioni principali, una scala
pentatonica con le note Re, Fa, Sol, La, Do. Lo strumento è anonimo e risale
agli ultimi decenni del XIX secolo.
N. 38. Bullroarer, (rombo di tuono o woomera), è
uno xiloaerofono costituito da una tavoletta spesso in legno duro che, fatta
ruotare attorno alla cordicella alla quale è attaccata, produce un suono
talvolta simile a un bisbiglio o a un rombo. Veniva un tempo ruotato durante le
cerimonie per simboleggiare la voce degli Antenati Creatori. Il suono del
bullroarer può essere variato accorciando la cordicella o facendolo roteare con
più o meno forza. Questo strumento ha origini antichissime, ne sono stati ritrovati
frammenti di 10000 anni A. C. in Ucraina e in Francia, ed è diffuso in tutto il
mondo. In Australia è utilizzato insieme al didgeridoo, in Africa e nel Sud-Est
asiatico durante i riti religiosi, anche in Piemonte è segnalato come attrezzo
che i pastori utilizzano per richiamare le greggi. Lo strumento, etiope, è in
legno con due borchie metalliche agli angoli inferiori, è lungo mm. 726 (anche
se la parte inferiore sembra essere lievemente accorciata), largo mm. 130 e
spesso mm. 5, presenta delle scritte in ed è databile alla fine del XIX secolo.
N. 39. Didjeridoo, Yidaki in lingua aborigena, in
Mi, costruito nella prima metà del XX secolo da Djalu Gurruwiwi nell’Arnhem
Land (nord-est dell’Australia) in legno di eucalipto del tipo stringybark.
Djalu è figlio di Monyu, celebre guida del popolo Yolŋu, che gli trasmise i
segreti per la costruzione degli strumenti e dei rituali del clan dei Galpu,
infatti lo strumento è dipinto con i colori tipici di questo clan: base ocra
con quattro gruppi alternati di tre strisce rosse e nere. Lo strumento è in
legno di eucalipto, è lungo cm. 146,5, ha forma lievemente conica ed è
scolpito, alla base, in modo da ricordare vagamente l’animale simbolo dei
Galpu, il coccodrillo marino.
N. 40. Flauto nasale (kalaleng) risalente alla
prima metà del XX secolo, costruito nelle Filippine dalla popolazione Igorot e
usato per i riti di corteggiamento. La popolazione Igorot attualmente non
utilizza più il flauto nasale per cui lo si può ritenere uno strumento estinto.
Lo strumento, costruito in canna, è lungo mm. 535, lo stato di conservazione è
perfetto nonostante i segni d'uso siano evidenti, presenta tre buchi anteriori
e uno posteriore e su tutto il corpo vi sono motivi geometrici incisi. Per
suonare questo flauto si appoggia su una narice mentre l’altra è tappata con
una mano e con l'altra mano si suona, infatti lo strumento presenta solo
quattro buchi.
N. 44. Tambura indiana costruita alla metà del XX
secolo, è lunga mm. 1134 e presenta una grossa zucca decorata come cassa
armonica. Il lungo manico, mm. 961, è in legno dipinto vinaccia, ha quattro
corde i cui piroli sono posti due anteriormente e due ai lati della paletta, il
ponticello, mobile, è in osso. La tambura è una specie di liuto bordone, come
forma simile al Sitar ma privo di tasti incurvati lungo il manico. Le corde
variano da quattro a sei, i modelli più sofisticati possono essere provvisti anche
di una serie di corde simpatiche. L’intonazione è regolata attraverso i piroli
che si trovano nella parte superiore del manico di legno e per rifinire
l’accordatura sono utilizzati dei piccoli registri in osso posti alla base
della tavola armonica. Il suono riprodotto dal Tambura è circolare e armonioso.
Solitamente è suonato per creare un sottofondo (bordone) nei brani musicali
strumentali e soprattutto per il canto.
N. 45. Tablas indiane, coppia di tamburi suonati
con le mani. Il Bhayan, suonato con la mano sinistra è in metallo mentre quello
per la mano destra, Dhayan, è in legno. Sono a forma di barile, sul quale è
tesa, mediante legacci, una pelle la cui tensione si può modificare, nel
dhayan, ruotando dei cilindretti di legno interposti tra i tiranti. Ambedue i
tamburi sono dotati di un cerchio di pasta (sihai) composta di manganese, riso
bollito e succo di tamarindo, grazie alla quale si ottiene una sonorità particolarmente
armonica. Il dhayan, prodotto alla fine del XIX secolo, è alto mm. 258, il
diametro della superficie battente è di mm. 170 quello dello shiai è di mm. 90,
vi sono otto cilindretti lignei per la tensione della pelle di mm. 70 x 32 e
infine vi sono tracce di una ricca decorazione su tutta la superfice lignea. Il
bhayan, costruito successivamente, è alto mm. 277, il diametro della superficie
battente è di mm. 225 e quello del shiai è di mm. 85.
N. 46. Nagara, coppia di membranofoni indiani
della regione del Bihar, al confine con il Nepal. Si tratta di due tamburi a
una sola membrana tesa su un corpo a forma di ciotola, usato per essere
suonati, con dei battenti ricurvi, a dorso di elefanti. I tamburi di questo
tipo sono spesso usati in coppia e sono gli antenati dei moderni timpani di
orchestra. Questi strumenti, databili tra la fine del XIX secolo e l’inizio del
successivo, sono costruiti con fogli di ferro rivettato, con fondo, un piccolo
foro di sfiato e ricoperto di pelle mantenuta in tensione da numerosi tiranti
di cuoio, hanno una superficie battente del diametro di mm. 410 e 408, un
altezza di mm. 245 e 244 e presentano due manici laterali per ancorarli al
dorso dell’elefante.
N. 47. Xun, ocarina di argilla nera o flauto
globulare dei cinesi Han, il gruppo etnico principale della Cina. Si tratta di
uno degli strumenti più antichi della Cina con circa 8000 anni di storia. Il
Xun è generalmente a forma di uovo con fondo appiattito, con 5-7 fori e si
suona soffiando attraverso un grande foro nella parte superiore. L’estensione
dello Xun è di circa un’ottava, con le note più acute che richiedono un certo
grado di abilità per suonare in modo chiaro. Usato in formazioni cerimoniali,
lo Xun è sopravvissuto a Taiwan, ma quasi scomparso in Cina. Attualmente è
stato rivalutato a causa della scoperta di Xun antichi nei siti archeologici e
ci sono anche una serie di virtuosi di Xun che si trovano in Cina e a Hong
Kong. Questo strumento, costruito da un abile artigiano la cui firma è impressa
sul fondo, risale alla fine del XX secolo, è alto mm. 87, il diametro maggiore
è di mm. 58, presenta sei fori anteriori e due posteriori e una elegante
decorazione gialla.
N. 50. Erhu, violino tradizionale cinese a due
corde, come dice il nome cinese. Ha una cassa di risonanza costruita in legno
di sandalo rosso coperta con pelle di pitone e sulla quale è appoggiato il
ponticello. Nella cassa, aperta al fondo, s’innesta il collo, alla cui sommità
si trovano due bischeri che servono per tirare le due corde accordate per un
intervallo di quinta (D4 A4). È suonato con un arco diritto, molto simile a
quello del nostro violino, fornito di crini di cavallo che vengono però
inseriti tra le corde dello strumento. L'Erhu si suona seduti, con la cassa di
risonanza poggiata sulla coscia sinistra e il collo in posizione verticale.
Questo strumento è lungo mm. 704, la cassa ha un diametro inferiore di mm. 68,
quello superiore, ricoperto di pelle di pitone, è di mm. 47 per un’altezza di
127.
N. 52. Sgra-Snyan, liuto tibetano a collo lungo
che termina nella cassa dei piroli a forma di testa di cavallo o di drago
risalente alla metà del XIX secolo. Ha cinque corde: due cori doppi e la corda
grave singola e si suona con un plettro. Era considerato lo strumento a corda
principale per la musica religiosa del buddismo tibetano ma, attualmente, è
comune nella musica d'arte profana. La sua forma, in particolare la tecnica
della pittura sul dragonhead, dimostra che è stato introdotto in Tubo (antico
nome per il Tibet) durante la dinastia Tang. Si possono trovare degli
sgra-snyan suonati da angeli raffigurati nelle pitture rupestri buddhiste del
settimo secolo ma anche dai Gandharva indù. Questo strumento mostra tracce di
colore rosso e arancio sulla testa di drago e una decorazione geometrica tonda
nella parte superiore della tavola. Le due parti della cassa armonica sono
scolpite a motivi floreali tracce di colori rosso, giallo verde e azzurro.
Tutto lo strumento è ricavato da un unico blocco di legno di gelso scavato: la
cassa ha una forma a otto molto pronunciata con una tavola di legno per la
parte superiore che continua con il manico rastremato fino alla cassa dei
piroli e una in pelle di capretto per quella inferiore su cui poggia il
ponticello. All’attaccatura delle corde è legato il piccolo plettro di legno
duro. La lunghezza totale è di mm. 752.
N. 53. Tanbur curdo risalente alla fine del XIX
secolo. Il nome deriva da pandur, parola sumera che indica un liuto a collo
lungo. Il tanbur era già in uso nel periodo sassanide (V-VI Secolo d.C.). Nel X Secolo d.C. Al-Farabi descriveva un
tanbur diffuso a sud e a ovest di Baghdad, e un tanbur usato nella regione del
Khorasan, in Persia. Questa distinzione può essere la fonte della
differenziazione tra gli strumenti arabi moderni, derivati dal tanbur di
Baghdad, e quelli che si trovano nel Kurdistan, Iraq, Siria, Iran, Sindh e
Turchia, derivati dal tanbur del Khorasan. Più tardi il tanbur curdo fu
associato alla musica degli Ahl-e Haqq, un movimento religioso curdo simile a
un ordine sufi. È attualmente l'unico strumento musicale usato nei rituali
degli Ahl-e Haqq e i professionisti del tanbur lo venerano come un oggetto
sacro. Questo tambur possiede una cassa di risonanza piriforme scavata in legno
di gelso, un manico stretto e lungo, che può essere tastato con quattordici
legature mobili in budello e alla sommità del quale sono inseriti i tre piroli
a T e corde metalliche, le due acute accordate all’unisono e la grave alla
quinta. La tavola presenta cinque piccoli fori di risonanza e un piccolo
ponticello. La lunghezza è di mm. 859 mentre la larghezza massima della cassa è
di mm. 172.
N. 54. Cimbali provenienti dal Nord Africa, in
ottone, del diametro di mm. 160, con una ridottissima superficie battente di
mm. 8. La coppia di cimbali è databile alla metà del XX secolo e presenta delle
asole in corda per l’impugnatura.
N. 59. Koto giapponese risalente ai primi decenni
del XX secolo. Insieme allo strumento è presente un kimono kurotomesode
appartenuto alla suonatrice. Il koto (箏) è uno strumento musicale cordofono
appartenente alla famiglia della cetra, derivato dal Guzheng cinese. Fu
introdotto in Giappone durante il periodo Nara. Il corpo dello strumento è
costituito da una cassa armonica, lunga cm 182 e larga 24, costruita con
legname di Paulownia. Su di essa corrono tredici corde di uguale diametro e
aventi stessa tensione, ognuna delle quali poggia su di un ponticello mobile
(ji, 柱) in osso, tali corde sono suonate
con un plettro simile a un'unghia. Il koto è paragonato al corpo di un drago
cinese disteso. Per tale motivo, le diverse parti di cui esso è formato
assumono dei nomi che ricordano quelle del mitico animale, come ad esempio:
ryuko (schiena del drago): è la parte superiore della cassa armonica, ryuto e
ryubi (testa e coda del drago): sono le estremità dello strumento. All'inizio
il koto fu usato per lungo tempo solamente presso la corte imperiale. Questo
stato di cose cambiò nel XVII secolo soprattutto ad opera di Yatsuhashi Kengyô
(1614-1684) che sì applicò a rendere il koto maggiormente accessibile presso la
popolazione. Ideò l'accordatura hirajoshi e creò composizioni divenute dei
classici della letteratura per questo strumento come Rokudan e Midare. Il koto
è suonato poggiandolo sul terreno tramite quattro piccoli piedi di legno. Il
suonatore si pone in ginocchio o seduto di fronte ad esso e pizzica le corde
tramite l'ausilio di tre plettri (tsume) fissati al pollice, all'indice e al
medio della mano destra. Esistono due tipi di plettri a seconda delle due scuole
tradizionali d'insegnamento di questo strumento: di forma ovale, usato nella
scuola Yamada e di forma quadrata, usato nella scuola Ikuta. La mano sinistra
non è utilizzata per suonare ma per produrre una serie di abbellimenti agendo
sulle corde, tendendole. Dal XX secolo, però, a causa degli influssi della
musica occidentale che determinarono lo sviluppo della Nuova Musica Giapponese,
si è iniziato a pizzicare le corde anche con la mano sinistra al fine di
ottenere effetti polifonici. Il koto si accorda muovendo opportunamente i suoi
ponticelli. Esistono diversi tipi di accordature a seconda del genere musicale,
del brano da eseguire o della scuola tradizionale. Alcune delle accordature
usate nel koto sono: l'accordatura hirajoshi (una delle più utilizzate),
l'accordatura kokinjoshi, l'accordatura gakujoshi e l'accordatura
honkumoijoshi. Alle corde del koto è assegnato un nome numerico da quella più
lontana dall'esecutore. Tali nomi sono: ichi (一
"uno"), ni (ニ "due"), san (三 "tre"), yon (四
"quattro"), go (五 "cinque"), roku (六 "sei"), shichi (七
"sette"), hachi (八 "otto"), kyū (九 "nove"), jū (十
"dieci"), to ("undici”), i ("dodici"), kin
("tredici"). La nota associata a ogni corda varia dipendentemente
dall’accordatura scelta. Lo spartito per koto si presenta generalmente sotto
forma d’intavolatura che si legge dall'alto in basso e da destra verso
sinistra. Poiché nell'intavolatura sono riportati i nomi delle corde da
pizzicare e non le note, ne consegue che se di quello spartito non è noto il
tipo di accordatura, non sarà possibile suonare quel brano. Nell'intavolatura
sono riportati anche segni che indicano quale dito usare e le tipologie degli
abbellimenti.
N. 61. Kou Xian (cinese 口弦)
databile alla seconda metà del XX secolo con la sua custodia in bamboo. Questo
è un idiofono lamellare simile allo scacciapensieri che usa la bocca
dell’esecutore come cassa di risonanza. È costituito da quattro (in alcuni
esemplari tre o cinque) telai in ottone con lamella centrale uniti tra di loro
a una estremità. È diffuso in tutta la Cina ma è particolarmente popolare i
gruppi etnici della Cina sud-occidentale come il Yunnan, Guangxi e Guizhou.
L’accordatura delle lamelle è data dai primi toni della scala pentatonica
minore. La lunghezza è di mm. 62 mentre la custodia misura mm. 93.
N. 62. Rabab egiziano databile alla seconda metà
del XX secolo. Chiamato anche Rababah, è il violino tradizionale della musica
popolare rurale egiziana (Sha’abi) ma è strumento diffuso in tutto il mondo
arabo. Si tratta di una viola suonata in verticale con un archetto. Deriva
probabilmente dal violino persiano, il Kamanjah e dal Joze tipico violino della
musica classica irakena. Se ne ha notizia fin dal secolo X, nelle opere di Al
Farabi, e durante il medioevo fu molto importante, tanto da indicare in generale
qualunque tipo di strumento ad arco. La Rababah ha un manico lungo, dipinto di
nero sormontato da un fregio colorato in verde, rosso e bianco, inserito su di
un corpo-cassa di risonanza ricoperto di pelle e due corde di crine di cavallo
nero. L’archetto è armato con lo stesso crine.
La cassa di risonanza è fatta con una noce di cocco (in arabo egiziano
djoz el-hind), sulla quale è tesa una pelle di capra. Trattandosi di uno
strumento non troppo sonoro e molto versatile, si presta molto bene all’accompagnamento
della voce. E’ perciò lo strumento principe per accompagnare la poesia: tipica
nella tradizione popolare rurale araba è la Rababah ash-sha’er, la rababah del
poeta, della poesia d’amore e della poesia epica. Lo usano, infatti, i
Musicisti del Nilo, quando cantano le epopee delle gesta Hilaliane del X
secolo.
N. 63. Tamburo rituale sciamanico proveniente
dalle regioni tibetane e risalente al primo ‘900, costituito da una cornice
lignea di mm. 320 di diametro su cui sono legate due pelli di capra con un
nastro di cuoio. Il tamburo è impiantato su un manico di legno riccamente
scolpito ed è corredato dal tradizionale battente il legno chiaro piegato a
fuoco.
N. 64. Suona, (cinese semplificato: 唢呐; cinese tradizionale: 嗩吶; pinyin: suǒnà); chiamato anche laba
(cinese: 喇叭; pinyin: lǎbā) o haidi (cinese: 海笛; pinyin: hǎidí). Ha un suono tipicamente forte e acuto, ed è
usato spesso in formazioni di musica tradizionale cinese. Si tratta di uno
strumento importante per la musica popolare della Cina settentrionale, in
particolare le province di Shandong e Henan, dove è stato a lungo utilizzato
per scopi militari e votivi. E 'anche comune nella musica rituale del sud-est
della Cina. A Taiwan, è un elemento essenziale della musica rituale che
accompagna le performance taoisti di entrambi i riti di auspicio buono e
nefasto, cioè quelli per i vivi e per i morti. Questo è uno Xiaosuona in C
(sopranino), è lungo mm. 318, ha un fusto di legno con sette fori anteriori e
uno posteriore, una campana mobile in ottone, un’imboccatura, sempre in ottone,
formata da due sfere tra due dischi e, sopra, il tubicino su cui si lega la
doppia ancia. Lo strumento è databile alla seconda metà del XIX secolo.
N. 65. Flauto dizi, cinese, in porcellana,
databile alla metà del XX secolo. Questo strumento presenta un foro tra
l’imboccatura e i fori per le dita che è ricoperto con un sottile pezzo di
carta di riso che produce il caratteristico ronzio di questo strumento. È in
porcellana bianca con numerose immagini di paesaggi in azzurro e una scritta in
cinese sulla testata, è lungo mm. 529 e largo 22, ha sei fori ovali per le dita
oltre il foro d’imboccatura e il foro dizi.
N. 66. Kanun, o qanun, turco a settantuno corde. È
una cetra trapezoidale, con ventitré cori di tre corde e uno da due corde tesi
su un piano armonico di legno che termina con quattro rettangoli (kayala)
ricoperti da pelle di pesce (o da pergamena) su cui poggiano i quattro piedi
del lungo ponticello. La lunghezza delle corde può essere modificata prima
dell'esecuzione agendo su piccoli capotasti metallici, cambiando così
accordatura in funzione della scala prescelta. Le corde sono pizzicate tramite
due grossi plettri di metallo calzati dagli indici delle due mani e dai
pollici. Lo strumento, in legno chiaro (noce?) ha il lato lungo di mm. 1101, la
base di mm. 408 e il lato corto di mm. 295. Lo strumento è databile alla prima
metà del XX secolo ma ha subito recentemente la sostituzione delle vecchie
corde di budello con delle nuove in nylon. Sul lato obliquo sono posizionati i
71 piroli in legno scuro e le levette per i microtoni in ottone, cinque per
ogni coro che, in posizione verticale, modificano l'altezza di un quarto di
tono. Sulla tavola armonica ci sono quatto buche intagliate, tre tonde nella
parte inferiore e una, a virgola, nella parte superiore.
N. 67. Surpeti (shruti box, sruti, swar pethi),
tradizionale strumento indiano simile a un piccolo armonium senza tasti
utilizzato come accompagnamento ad altri strumenti e in particolare il flauto.
Il suono è prodotto da ance metalliche messe in vibrazione dall’aria prodotta
da un mantice, come per le fisarmoniche. È costituito da una scatola in teak
verniciato di mm. 330 x 220 x 60 che presenta da un lato il mantice da azionare
con la mano sx e dall’altro sei barrette di legno ricoperte da madreperla disposte
su due file di tre. Spostando le barrette si libera il foro di uscita dell’aria
e si ottengono le note: Mi, Re, Do (fila superiore), Si, La, Sol (fila
inferiore). Lo strumento è databile alla metà del XX secolo e proviene dal
Gujarat, stato dell'India nord-occidentale che affaccia sul Mare Arabico.
N. 68. Statuette di porcellana bianca giapponese,
alte mediamente cm. 13, databili alla metà del XX secolo, che raffigurano sette
suonatrici di strumenti tradizionali giapponesi. Sono suonatrici di yokobue,
hyoshigi, cimbali, arpa, sho, koto e taiko.
N. 70. Guinbri (gunibri) nordafricano costruito
alla metà del XX secolo. Questo è uno strumento tradizionale diffuso in tutto
il nordafrica, dal Marocco all'Egitto. Il corpo è costituito da un pezzo di
legno scavato o, quelli di miglior qualità, da un carapace di una piccola
tartaruga chiamati fakroun o fakrun (tartaruga). La tavola armonica è fatta con
pelle abbastanza spessa (vitello) che serve anche per essere percossa come un
piccolo tamburo. Vi sono tre corde in nylon ancorate a grossi piroli disposti perpendicolarmente
tra loro alla sommità del manico tondo, stretto e lungo, dipinto in nero e
inciso. la lunghezza totale è di mm. 515, la cassa in tartaruga è di mm. 180 x
125 e sulla pelle vi sono quattro gruppi di tre fori e un foro per l’ancoraggio
delle corde.
N. 71. Erhu, sorta di violino cinese a due corde,
costruito nella prima metà del XX secolo in legno di bambù. Sulla cassa,
cilindrica, coperta da una tavola con pelle sottile ed aperta al fondo,
s’innesta il collo, alla cui sommità si trovano due grossi bischeri dipinti che
servono per tirare le due corde accordate per un intervallo di quinta (D4 A4).
È suonato con un arco diritto, molto simile a quello del nostro violino,
fornito di crini di cavallo che vengono però inseriti tra le corde dello
strumento. Questo strumento è lungo mm. 491, la cassa ha un diametro di mm. 45
per un’altezza di mm. 117.
N. 72. Clarinetto popolare a riserva d’aria,
databile alla metà del XX secolo, dotato di un’ancia battente interna infissa
nella parte superiore del corpo, la sacca ricavata da una noce di cocco
ricoperta di pelle bianca e forata alle estremità per alloggiare il cannello di
insufflazione e, dalla parte opposta, la parte superiore del corpo con l’ancia.
Il corpo, in legno finemente tornito, presenta sei fori anteriori e una stretta
campana. Lo strumento è lungo complessivamente mm. 418 di cui 40 di cannello,
124 la noce di cocco e 254 il corpo.
N. 73. Clarinetto bicalamo mancante di sacca e
cannello di insufflazione, databile alla metà del XX secolo. I due corpi,
legati tra loro e con le rispettive ance battenti interne infisse alla sommità,
sono in legno tornito e mordenzato con cameratura cilindrica, presentano sei
fori anteriori posti alla stessa altezza e una campana molto stretta e
slanciata. Il corpo di destra è lungo mm. 322 mentre quello di sinistra
presenta un lungo piede privo di fori per una lunghezza di mm. 605.
N. 74. Khaen laotiano formato da 16 canne di bambù
legate assieme alle estremità e disposte su due file aventi coppie di canne con
altezza diversa tra loro. Nella parte centrale sono collegate tra loro da un
supporto ovoidale di legno, con un’apertura per l’insufflazione su cui è
fissata l'ancia, in ottone, posizionata sulla coppia più lunga di canne.
Ciascuna delle canne presenta un foro che permette di suonare lo strumento.
Maggiore è la lunghezza della canna e più basso è il suono che produce. Lo
strumento viene di solito suonato tenendo le canne in verticale. Produce suono
sia quando l'aria viene soffiata che quando viene aspirata. Presso alcune
minoranze etniche presenti in Laos e in Vietnam sono utilizzati strumenti
simili che vengono a loro volta chiamati khèn, ma sono composti da sole 6
canne. Il khaen (แคน - khene) è un organo a bocca di origine laotiana i cui tubi,
che di solito sono fatti di bambù, sono collegati con un piccolo serbatoio di
legno esterno in cui viene soffiata l'aria. Strumenti simili risalgono all'età
del bronzo del Sud-Est asiatico. Il khene utilizza una scala pentatonica in uno
dei due modi (thang sun and thang yao), ciascuna modalità ha tre possibili
chiavi. Il khaen ha cinque diversi Lai, o modi: Lai Yai, Lai Noi, Lai Soutsanaen,
Lai Po Sai e Lai Soi. Lai Po Sai è considerato il più antico della Lai Khaen e
Lai Soutsanaen il "padre della Lai Khaen. Il Khaen può essere suonato come
strumento solista (Dio Khaen), come parte di un insieme (Ponglang) o come
accompagnamento a una Lao. Secondo una leggenda laotiana, il khene è stato
creato da una donna che stava cercando di riprodurre il suono degli uccelli che
aveva sentito un giorno durante una passeggiata. Quando tornò al suo villaggio
tentò con diversi strumenti, infine ha tagliò un pezzo di bambù e inserì una
canna e capì che suonava come il canto dell'uccello garawek. Continuò a
migliorare il suono fino a quando sentì che era degno per le orecchie del re,
andò al palazzo e cominciò a suonare per il re sul suo strumento di recente invenzione.
Dopo la sua ultima canzone chiese al re se era contento. Al re piacque molto e
diede istruzioni per chiamare lo strumento khaen.
N. 75. Valiha, strumento musicale a corde
pizzicate tipico del Madagascar. Assomiglia a una cetra con la cassa armonica
ricavata da un grosso pezzo di bambù compreso tra due nodi, al di là dei quali
è stata generalmente lasciata, da una parte e dall'altra, una certa porzione di
canna. Al centro vi è un lungo e sottile foro armonico. Tra i nodi e nel senso
della lunghezza si staccano delicatamente dalla corteccia delle sottili bande
che servono da corde. Queste non vengono tagliate fino alle estremità: le inserzioni
sono protette da uno spago avvolto tutto intorno e le corde, così ricavate,
vengono tenute in tensione da piccoli ponticelli in legno, sughero o corteccia
di zucca. Lo strumento può essere suonato seduti o in piedi. A seconda dei
casi, l'estremità inferiore del bambù è stretta tra le ginocchia o i piedi,
oppure è posta sotto il braccio o appoggiata sullo stomaco. Attualmente le
corde sono metalliche e vi possono essere meccaniche simili a quelle delle
chitarre per l’accordatura. Questo strumento, databile ai primi decenni del XX
secolo, presenta 16 corde, è lungo mm.765 e mm. 68 di diametro. Il più grande
suonatore di valiha fu probabilmente Rakotosafy, nato nel 1938. Solo poche
registrazioni delle sue performance sono ancora reperibili; quasi tutte sono
state incise negli studio della radio malgascio Malagasy Radio. Su Rakotosafy è
stato realizzato un documentario dal titolo Like a God When He Plays
("come un Dio quando suona"). Altri musicisti celebri sono Zeze, Mama
Sana, Tovo, Rajery, Sylvestre Randafison e Justin Vali.
N. 76. Rubab proveniente da Peshawar, città del
Pakistan ai confini con le regioni del Nord-Ovest dell’India. Il Rubab, noto
come "il leone degli strumenti", è un liuto a collo corto ricavato da
un unico pezzo di legno di gelso, con una membrana in pelle di capra che copre
la tazza cava della camera di risonanza, su cui è posizionato il ponte. Ha tre
corde melodiche accordate in quarte e un numero variabile di corde
simpatiche. Questo strumento, costruito
nei primi decenni del XX secolo, ha tre corde melodiche in metallo, tese dal
fondo del corpo alla scatola dei piroli (uno mancante) di forma quadrangolare.
Sul collo, cavo dal retro, sono allocati quattro piroli per le corde di
risonanza. La tavola è costituita da pelle di capra inchiodata ai bordi del corpo
dello strumento. Questo è lungo complessivamente mm. 648, la cassa è lunga mm.
248 per una larghezza massima di mm. 134.
N. 77. Suona soprano cinese, anonimo, in legno
tornito, laccato di nero con anello di osso alla campana e ghiera di corno per
porta-ancia, databile ai primi decenni del XX secolo. Lo strumento ha una
cameratura interna conica, si suona con una doppia ancia e ha sette fori
anteriori e uno posteriore. Questo è uno degli strumenti principali della
musica popolare cinese, costruito in varie taglie, accompagna i riti e la
canzoni popolari.
N. 78. Guan (cinese 管) anonimo,
databile ai primi decenni del XX secolo. La versione cinese del nord è chiamata
guanzi (管子) o bili (篳
篥 o 筚 篥) e la versione cantonese si chiama
houguan (喉管). È uno strumento a cameratura
cilindrica, a doppia ancia, costruito in legno duro con sette fori anteriori e
uno posteriore. Le stremità sono decorate con ghiere metalliche. È lungo mm.
185 e il suo diametro è di mm. 12. Svolge un ruolo importante nelle formazioni
di fiati e percussioni (chuida o guchui) che suonano nelle feste tradizionali e
nelle occasioni celebrative ed è ancora popolare nella musica della banda del
nord della Cina, così come in alcune altre regioni cinesi. Nell'orchestra
dell'Opera di Pechino, il guan è utilizzato per rappresentare scene militari
insieme alla suona e ad altri strumenti a percussione.
N. 79. Dizi (in cinese 笛子, in
pinyin dízi) cinese. A volte è chiamato di (笛) o hengdi
(橫笛), ha varianti note come qudi (曲笛) e bangdi (梆笛). Una membrana detta dimo, che ne
determina il tipico timbro ronzante, è applicata su un foro ricavato tra quello
di insufflazione e il primo foro digitale. Il dizi è un importante strumento
musicale della tradizione cinese, utilizzato nella musica popolare nell'opera e
nella musica orchestrale, così come nella musica cinese esportata in Occidente.
Il dizi ha una lunga storia e una consistente popolarità anche tra i cinesi non
musicisti, probabilmente perché è facile da fabbricare e trasportare ed ha un
suono molto gradevole. Il dizi è normalmente fabbricato a partire dal bambù,
motivo per cui è spesso indicato come "il flauto cinese di bambù",
anche se il bambù è un materiale che ricorre nella fabbricazione di molti
strumenti cinesi (quanto lo è il legno negli strumenti occidentali) e quindi
questa denominazione è altamente generica. Questo strumento è in due pezzi di
bambù: quello superiore mostra il foro d’imboccatura e una inscrizione in
cinese mentre su quello inferiore vi è il foro dizi, sei fori anteriori per la
melodia e tre fori terminali d’intonazione. I terminali sono in osso mentre la
giuntura è in ottone. Lo strumento, cilindrico, è lungo mm. 467, il diametro è
di mm. 21 e vi sono quattordici ghiere in tessuto dipinto di rosso.
N. 80. Ney persiano di recente manifattura (primo
decennio del XXI secolo). Il ney è il più antico strumento musicale ancora
usato: ha più di 5000 anni, alcuni suoi esemplari sono stati trovati negli
scavi a Ur. Normalmente costruito in canna di palude, è un flauto dal suono
dolcissimo, affascinante ed evocativo di atmosfere oniriche. La tecnica
esecutiva è ritenuta la più difficile tecnica di flauto del mondo e la scala su
cui sono intonati, basata su proporzioni astrali, è molto antica e non coincide
con la nostra notazione: è esatonica e le note sono differenti dalle nostre. Il
musicista, per sopperire a questa differenza, può comunque variare la nota fino
ad un tono e mezzo aprendo e chiudendo le labbra e/o cantando dentro lo
strumento. È un flauto ad imboccatura semplice: il suono è prodotto dal
frangersi del soffio contro il bordo dell'estremità più lontana dai fori, senza
alcun dispositivo apposito, che non sia una leggera affilatura del bordo
stesso; perché il suono si produca è necessario appoggiare il flauto alle
labbra in posizione obliqua e tenerne il bordo tra gli incisivi centrali
superiori. Questo strumento ha cinque fori anteriori e uno posteriore, presenta
cinque nodi ricoperti da rinforzi in fibra dipinta di rosso e i due terminali
in ottone. La lunghezza totale è di mm. 696 con un diametro medio di mm. 21.
N. 81. Gopichand proveniente da Dhaka (Bangladesh)
e databile alla metà del XX secolo. Questo strumento, dotato di una singola
corda, è molto popolare tra la popolazione indù del Bangladesh. Lo strumento è
alto complessivamente mm. 494. Si compone di una canna di bambù lunga mm. 450 e
larga mm. 50, aperta su due lati per circa mm. 250 lasciando le due estremità
collegate dalle due strisce laterali, larghe circa mm. 15. La struttura è posta
su un risonatore, costituito dalla metà di una piccola zucca alla cui la base,
del diametro di mm. 104, è posta una pelle, come un tamburo. Al centro della
pelle viene tesa una corda che corre all’interno dello strumento ed è fissata
all'altra estremità da un pirolo posto in cima alla porzione superiore della
canna di bambù. La pelle è tenuta in tensione da tiranti incrociati di corda
nera che, correndo dentro piccole palline di legno, permettono di variare la
tensione della pelle. Il suono di Gopichand è molto caratteristico: mentre la
mano destra tocca la corda, le due braccia di bambù, molto flessibili, sono
tenute insieme dalla mano sinistra, il che permette di variare la tensione
della corda producendo così le varie note. Questo strumento fa parte della
famiglia dell'Ektar o Ektara, è anche conosciuto come Gopiyantra o Khamak ed è
ampiamente utilizzato per la danza Baul e si dice che sia lo strumento a corda
più antico in India.
N. 82. Chajchas andine, risalenti ai primi decenni
del XX secolo. Questo è un piccolo strumento a percussione della famiglia dei
sonagli, tipicamente fatto di zoccoli di capra o di pecora e originario delle
Ande Centrali. Lo strumento è utilizzato nei rituali, nelle cerimonie
tradizionali e in gran parte della musica popolare della regione, in
particolare in Colombia, Bolivia, Perù, Ecuador e Cile. Consiste in un numero
variabile di zoccoli secchi (che possono anche provenire da lama o alpaca)
infilati su un pezzo di tessuto colorato sul quale sono cucite piccole strisce
di cuoio, infilate negli zoccoli e fermate con un nodo terminale. Questo
esemplare è lungo circa cm. 60 ed è costituito da ventisette zoccoli di capra.
N. 83. Bansuri popolari indiani ad insufflazione
verticale, databili alla seconda metà del XX secolo. Il bansuri è fatto da una
canna di bambù con sei o sette fori per le dita. È un antico strumento musicale
associato ai pastori e alla tradizione pastorale, è intimamente legato alla
storia d'amore di Krishna e Radha ed è raffigurato nei dipinti buddisti del 100
dC circa. Le dimensioni del bansuri variano da meno di 30 centimetri a un
metro. Ci sono due varietà di bansuri: trasversali e verticali. Il flauto verticale
viene solitamente usato per la musica popolare e viene tenuto tra le labbra
come un flauto dolce. Poiché consente controlli, variazioni e abbellimenti
superiori, la varietà trasversale è preferita nella musica classica indiana. Il
primo strumento è in bambù abbellito da quattro ghiere in seta bianca, presenta
sette fori anteriori ed è lungo mm. 357. Il secondo è in bambù dipinto di nero,
con dieci piccole e due grosse ghiere metalliche tra le quali vi è una stampa
di donna indiana. È lungo mm. 324 e presenta sei fori anteriori. Il terzo è un
bansuri per principianti, in ottone, col foro d’insufflazione costituito da un
tubicino metallico posto in posizione perpendicolare al labium, mimando la
posizione del flauto traverso. Ci sono sei fori anteriori e un fregio tornito
alla testata per una lunghezza totale di mm. 358.
N. 85. Khlui thailandese costruito nella seconda
metà del XX secolo. Il khlui è un flauto verticale usato nella musica popolare
thailandese, presenta fori anteriori per le note e la finestra del labium
rivolta verso l’esecutore. Originato prima o durante il periodo di Sukhothai
(1238-1583AD), è stato ufficialmente dichiarato strumento nazionale tailandese
dal re Trailokkanat (1431-1488), che ne stabilisce il modello ufficiale e le
caratteristiche costruttive. Questo strumento ha l’imboccatura di bambù e il corpo
di legno dipinto e decorato a intagli floreali: è molto piccolo, lungo solo mm.
245, ha cinque fori anteriori e una piccola campana terminale.
N. 86. Sax alto in bamboo costruito alla fine del
XX secolo a Bangkok. Questo strumento nacque alla metà del Novecento; nella
forma ricordava un sax alto ma era fatto di un particolare bamboo thailandese
particolarmente risonante, che risultava molto economico e di facile
costruzione. Nei primi strumenti, molto rozzi e approssimativi, la diteggiatura
era complessa, l’intonazione quasi sempre precaria e l’estensione ridotta. Nel
tempo, molti artigiani, tra cui Wiboon Tungyuenyong, si dedicarono alla
costruzione di questi strumenti in maniera sempre più professionale giungendo
alla costruzione di esemplari, come questo, di buona fattura. Lo strumento
presenta otto fori anteriori e uno posteriore, la nota più grave è il Fa e
monta un’ancia di sax contralto legata con dello spago nero (coda di topo). È
costituito da sedici cilindri di bamboo di diametro crescente incollati uno
all’altro con della resina e un’imboccatura lunga e affilata alla sommità dello
strumento.
N. 87. Flauto sacro, risalente alla prima metà del
XX secolo, costruito dai nativi Yatmül in Papua Nuova Guinea. Questi flauti
sono generalmente utilizzati in coppia in occasione di cerimonie e iniziazioni.
Il suono che fanno è considerato la voce degli spiriti del clan e possono
essere suonati solo da uomini iniziati. Donne, bambini e uomini non iniziati
non sono autorizzati nemmeno a vedere i flauti. Le immagini in cima ai flauti
sono figure di antenati e totem del clan. Il fiume Sepik, chiamato in epoca coloniale
tedesca Imperatrice Augusta, sfocia, a Nord, nel golfo di Papua e costituisce
la principale via navigabile del paese. Gli Yatmül abitano lungo le rive del
Sepik inferiore e medio e le loro grandi case di culto (Tambaran) oltre che dai
flauti e dai tamburi, sono ornate dalle maschere splendidamente scolpite che
ricordano gli spiriti naturali e gli antenati. Questo flauto ha il corpo in
bambù, lungo mm. 409 e largo 34, con semplici decorazioni geometriche, un solo
foro all’estremità distale di mm. 10 di dimetro e un grosso foro
d’insufflazione del diametro di mm. 19 all’estremità prossimale. I terminali
sono decorati da paglia intrecciata e colorata in giallo, rosso e nero. La
testa è in legno, lunga mm. 461 e colorata in nero, rosso e beige: vi è scolpita
una figura antropomorfa sormontata da un uccello del paradiso, simbolo
nazionale della Papua Nuova Guinea, col caratteristico becco a falce e le
lunghe penne caudali.
N. 88. Garamut nyégél (piccolo) costruito in Papua
Nuova Guinea settentrionale, nella regione del delta del fiume Sepik, alla fine
del XIX secolo. I garamuts sono classificati come “tamburi” a fessura di legno
ma in effetti, non avendo membrane vibranti, appartengono alla famiglia degli
idiofoni a percussione. Il garamut è considerato uno strumento musicale sacro,
attraverso il cui suono parlano gli antenati, e svolge un ruolo centrale nelle
cerimonie di iniziazione: tenuti in un luogo o in una casa di culto speciale,
la loro produzione spesso avviene in un posto segreto, nella foresta, che le
donne e i non iniziati non possono vedere. Il costruttore di tamburi si ritira,
secondo una descrizione del 1910, in un luogo remoto nella foresta. Lì taglia
un albero adatto, divide il tronco in tre o quattro sezioni che mette in una
capanna appositamente costruita dove può vivere per diverse settimane o mesi e
lavorare sotto la pioggia. Innanzitutto modella il tronco esterno in forma
ovale, quasi circolare sul lato longitudinale inferiore e più stretto nella
parte superiore. Le maniglie per il trasporto, poste alle estremità, sono
scolpite a figure umane e animali. Il significato dei tamburi può essere
diverso per ogni oggetto di culto per i singoli gruppi sociali all'interno di
una società e in base alla situazione. Lo stesso tamburo può essere utilizzato
per trasmettere singoli messaggi e rituali in un contesto magico-religioso.
Garamut è anche il nome, in lingua Pidgin, del legno duro (Vitex cofassus)
comunemente usato per costruire questi tamburi. I garamut sono generalmente
molto grandi, da 1,5 a 3 metri, questo invece è estremamente piccolo suggerendo
un uso cerimoniale domestico. È scolpito in un unico pezzo di legno lungo
appena mm. 381 compresi i manici, il corpo misura mm. 242 x 64 x 56. I due
manici mostrano sculture antropomorfe mentre sul corpo vi sono incise
decorazioni a forme ovalari vagamente antropomorfe: lo strumento è dipinto di
nero con parti rosso mattone.
N. 89. Pungi (in lingua hindi) o Been o Tiktiri
(in sanscrito indiano), databile alla prima metà del XX secolo. È moto diffuso
nella musica popolare indiana: in particolare viene utilizzato dagli
incantatori di serpenti ed è legato al culto di Shiva. Si tratta di un
clarinetto doppio, a sacca d’aria, ad ance interne semplici, costituito da due
tubi inseriti in una zucca a bottiglia (Lagenaria siceraria): il primo è in
legno, dotato di un numero variabile di fori e crea la melodia, mentre il
secondo, che può essere in bambù o in metallo, funge da bordone. Lo strumento è
lungo complessivamente mm, 634: il tubo di canto è in legno a sezione quadrata,
con otto fori anteriori e uno posteriore, di mm. 175 mentre il bordone, nella
parte superiore è in bambù e poi termina con un tubo metallico di mm. 259, per
una lunghezza totale di mm. 325. La zucca, che funge da sacca d’aria, ha un
lungo collo e termina con un rigonfiamento di mm. 124 di diametro.
N. 90. khim tailandese, ขิม (pronunciato kʰǐm) o ឃឹម (pronunciato Khum) databile al sesto
decennio del XX secolo. Il khim è uno strumento a corde derivato dal Santur
mesopotamico: è stato introdotto in Cambogia, Laos e Thailandia dalla Cina,
dove uno strumento simile è chiamato yangqin. Si suona con due bastoncini di
bambù flessibili con le punte ricoperte di pelle o ovatta per produrre un suono
morbido. Questo strumento può essere suonato sia sedendosi a terra con lo
strumento posto sul pavimento, oppure sedendosi su una sedia o in piedi mentre
il khim è su un supporto. Lo strumento mostra una tipica forma “a farfalla” e
deriva dal "hudie qin" (蝴蝶 琴, lett.
"Farfalla cetra") anche se le corde, invece che in seta, sono in lega
di acciaio (in combinazione con corde di acciaio avvolte in rame per le note di
basso), al fine di dare allo strumento un tono più luminoso e più forte. Ha una
cassa armonica di legno dipinto in marrone, di forma trapezoidale, con
coperchio: Il lato lungo è di cm. 83, quello corto di cm. 35, quelli obliqui di
cm. 46 per cm. 5 di altezza. Sulla tavola armonica, in abete, vi sono due
ponticelli, ognuno con otto supporti per tre corde, e le due buche coperte da
delicati intarsi in osso. Vi sono quarantotto corde, disposte in sedici gruppi
di tre per ogni nota, che corrono parallelamente al lato lungo dello strumento:
sulla destra vi sono i 48 piroli (sempre disposti a gruppi di tre) a cui si
ancorano le corde mentre sulla sinistra ci sono i 48 piroli che ne regolano la
tensione. Le due bacchette, di bambù leggerissimo, sono coperte, in punta, da
ovatta.
N. 91. Lyra turca (Klasik Kemençe, Violino
ottomano o bizantino) costruito ad Istanbul nella seconda metà del XX secolo.
Questo è uno strumento che ha conservato alcune caratteristiche di strumenti
medioevali: della viella mantiene la paletta larga con piroli perpendicolari e
della ribeca conserva la cassa piriforme, che si prolunga nel manico, ricavata
in un pezzo unico, insieme al manico, scavando un singolo blocco di legno
massiccio. È uno strumento della tradizione mediterranea, molto simile alla
lyra calabrese, cretese o maltese. Lunghezza totale di mm. 424, larghezza di
153 e altezza di 35. I piroli, a forma di mazza da cricket, sono in palissandro
e lunghi mm. 139. Vi sono delle placche di tartaruga sulla paletta e sul fondo.
Il corpo è interamente scavato in un pezzo di mogano massello e la tavola è in
abete non verniciato. È armata con tre corde in budello, le laterali di mm. 260
e la centrale di mm. 295, accordate in La, Re, La, avvolte ai piroli posti
sulla paletta a forma di cuore. Il ponticello poggia sulla tavola col piede
destro e, col sinistro, sull’anima che fuoriesce dal foro armonico. I fori
armonici sono ampi, a forma di D con la spalla verso l’esterno. Molto
particolare è la tecnica esecutiva: le corde sono molto sollevate dalla
tastiera per cui il musicista interrompe la lunghezza delle stesse con l’unghia
tangente alla sinistra della corda. Lo strumento viene tenuto in posizione
verticale, tra le gambe o sulla coscia sinistra mentre le corde vengono
sfregate con un archetto con crini di cavallo teso per mezzo del dito medio (se
necessario, l'anulare) inserito nella parte dell'arco coperta in pelle vicino
al manico. Il naso dell'arco è rifinito con una nappa ornamentale come una coda
di cavallo e viene impugnato con il palmo rivolto in alto come gli archetti
medioevali.
N. 92. Doudouk (duduk) basso in La, costruito nel
primo decennio del XXI secolo in Armenia dal liutaio Arsen Petrosyan. Il
doudouk è uno strumento a fiato tradizionale di origini armene, che risale a
oltre 3000 anni fa. È stato introdotto alla musica popolare occidentale
attraverso la colonna sonora dell'album Passion di Peter Gabriel per il film
The Last Temptation of Christ (1988), con il virtuoso suonatore di duduk Vatche
Hovsepian. Il duduk compare anche in colonne sonore cinematografiche e
televisive, come Alexander, The Siege, The Hulk, Syriana, The Chronicles of
Narnia: nel film Il Gladiatore è suonato dal famoso Djivan Gasparyan. Lo
strumento, in legno di albicocco stagionato, è in tre pezzi per una lunghezza
totale di mm. 654 e un diametro esterno di mm. 20, ha una cameratura
cilindrica, presenta sei fori anteriori e uno posteriore più due fori
d’intonazione al piede. Si suona con una grossa ancia doppia, lunga mm. 110 e
larga 32, protetta, a riposo, da una copertura e una ghiera sempre in canna.
N. 93. Shō giapponese, databile alla seconda metà
del XX secolo. Lo strumento è un clarinetto policalamo, formato da un serbatoio
d’aria in legno scuro, l’imboccatura con un terminale in osso e le canne tenute
insieme da un legaccio in bambù: il suono si produce tappando con le dita i
fori sulle canne e mettendo così in vibrazione l’ancia corrispondente. Vi sono
diciassette canne; canne più lunghe sono di mm. 401 mentre le più corte di
mm.150. la lunghezza totale è di mm 475 mentre la larghezza dall’imboccatura è
di mm.160. Lo shō (笙) è uno strumento musicale giapponese
ad ancia libera introdotto dalla Cina durante il periodo di Nara (dal 710 al
794 d.C.). Discende dal cinese sheng, dell'era della dinastia Tang, sebbene lo
shō tenda ad essere di dimensioni inferiori rispetto agli sheng contemporanei.
Si compone di 17 sottili canne di bambù, ognuna delle quali è dotata nella sua
base di un’ancia in canna. Due delle canne sono mute, anche se la ricerca
suggerisce che fossero usate in alcune musiche durante il periodo Heian. Si
ipotizza che, anche se le canne non emettono suoni, sono state mantenute come
parte dello strumento per mantenere la forma simmetrica. Si dice che il suono
dello strumento imiti il richiamo di una fenice, ed è per questo motivo che le
due canne silenziose dello shō vengono mantenute come elemento estetico,
formando due "ali" simmetriche. Simile allo sheng cinese, le canne
sono accordate accuratamente con una goccia di una densa preparazione di cera
resinosa contenente pallini di piombo fini. Poiché l'umidità (respiro) raccolta
nelle canne dello shō ne impedisce il suono, si possono vedere artisti che
riscaldano lo strumento su un piccolo braciere a carbone o un bruciatore
elettrico quando non stanno suonando. Lo strumento produce suoni quando il
respiro del musicista viene inalato o espirato, consentendo lunghi periodi di
suono ininterrotto. Lo shō è uno dei tre principali strumenti a fiato
utilizzati nel gagaku, musica di corte imperiale giapponese. La sua tecnica di
esecuzione tradizionale in gagaku prevede l'uso di gruppi di toni chiamati
aitake (合竹), che passano gradualmente dall'uno
all'altro, fornendo accompagnamento alla melodia.
N. 94. Güiro (pronuncia spagnola: ˈɡwiɾo)
caraibico risalente alla fine del XX secolo. La lunghezza è di mm. 420, il
diametro maggiore è di mm. 92 e la parte scanalata di mm. 195. La zucca
contiene numerosi semi che, scuotendo lo strumento, danno un suono simile a
quello delle maracas ed è decorata con tre uccelli e tre fiori in rosso,
marrone, nero e bianco. Il güiro è uno strumento a percussione latinoamericano
costituito da una zucca cava con tacche parallele tagliate su un lato: quello
tradizionale è fatto con la zucca higüero, Crescentia cujete, che è un albero
originario del centro-sudamerica. La tecnica di esecuzione è molto semplice: un
bastoncino viene sfregato contro la scanalatura dello strumento producendo
suoni brevi e secchi. Il güiro è comunemente usato nella musica portoricana,
cubana e in altre forme di musica latinoamericana e svolge un ruolo chiave
nella sezione ritmica tipica di generi importanti come Rumba, Salsa, Punto
guajiro, Cha cha cha, Merengue, Bomba, Samba e, come le maracas, è spesso
suonato dal cantante.
N. 95. Hulusi (tradizionale: 葫蘆絲; semplificato: 葫芦丝; pinyin: húlúsī) databile alla fine del XX secolo. Lo
strumento è in Fa con il bordone in RE; la lunghezza totale di questo strumento
è di mm. 396, la canna centrale è di mm. 273 mentre quelle laterali di mm. 204.
Al piede dello strumento vi è un complesso nodo di cordoncino rosso, un anello
di giada e una nappina bordeaux. L’hulusi è un aerofono ad ancia libera
originario della Cina, si tiene verticalmente ed è composto da tre canne di
bambù, provviste di ance in argento o rame, inserite in una zucca che ha l'uso
di somiere per l'aria e alla cui estremità superiore si inserisce un anello di
imboccatura. La canna centrale ha sette buchi anteriori e uno posteriore, le
altre due fungono da bordoni; quella di sinistra ha un foro posteriore che,
occluso, ne blocca il suono. Alcune configurazioni alternative della foratura,
nell'ambito dell'estensione o delle tonalità, mediante chiavi, rendono lo
hulusi capace di avvicinarsi alle sonorità di un clarinetto o di un oboe.
N. 96. Oud 'arbi, proveniente dal Marocco,
databile alla seconda metà del XX secolo. L'oud ‘arbi è una variante
nordafricana dell’oud con un collo più lungo e solo 4 corde: il metodo
marocchino di accordatura prevede un sistema che comprende una sequenza di quattro
corde: mâya (aria), dhîl (terra), zîdân (acqua) e mazmûn (fuoco). lo strumento
è molto piccolo, il corpo è largo mm. 225, lungo 282 e alto 128 mentre la
lunghezza senza cavigliere è di mm.428. Il guscio è costituito da undici doghe,
il manico è in palissandro e non presenta tastatura: il cavigliere è ad angolo
retto e mostra quattro piroli dipinti in nero.
N. 97. Bansuri (o flauto indiano o flauto di
bambù) indiano, costruito a Calcutta dalla ditta R. DAS nel settimo decennio
del XX secolo. Lo strumento, in Mi, è in bambù senza nodi, presenta solo sei
fori anteriori e il foro d’insufflazione sotto il quale vi è il marchio del
costruttore. È lungo mm. 370 con un diametro di mm. 20. Il bansuri è un tipo di
flauto traverso, uno dei più antichi strumenti musicali della musica classica
indiana: sembra che sia stato sviluppato in modo indipendente rispetto ai
flauti occidentali. Si dice che la divinità induista Krishna sia un maestro
dello strumento, così come Gaṇeśa la divinità con la testa di elefante, spesso
raffigurata nell'atto di suonare un flauto.
N. 98. Kayum messicano, costruito nella prima metà
del XX secolo su modelli ritrovati nel Sitio Conte e conservati nel Penn
Museum. È un tamburo di terracotta che risale alla civiltà Maya: sono stati
ritrovati esemplari risalenti a più di 2000 anni fa. Si tratta di un tamburo
orizzontale con due aperture, una delle quali rivestita di pelle. Il kayum può
essere appoggiato sull'avambraccio mentre la mano libera percuote la pelle
direttamente o con piccoli battenti. Può anche essere suonato con una mano
mentre l'altra si sposta sul foro aperto per cambiare l'intonazione, oppure può
essere usato come tamburo ad acqua. Lo strumento è lungo mm. 294, alto 154 al
foro ricoperto in pelle e 103 a quello libero. Il diametro del foro ricoperto è
di mm. 134 mentre quello libero è ovalare del diametro massimo di mm. 101. I
tamburi erano spesso decorati con incisioni, pitture o motivi geometrici. Il
kayum era utilizzato principalmente in contesti cerimoniali e religiosi;
accompagnava danze, rituali e altre attività sacre; non era solo uno strumento
musicale, ma anche un oggetto con significato rituale e simbolico. La musica
era una parte integrante della vita cerimoniale Maya e i tamburi come il kayum
giocavano un ruolo cruciale nel connettere i partecipanti con le divinità e con
l'universo spirituale.
N. 99. Flauto cinese in giada verde, databile alla
metà del XX secolo. Lo strumento presenta sei fori anteriori più il foro
d’imboccatura. La lunghezza è di mm. 381 per un diametro di mm. 25. Vi sono tre
rivestimenti in argento cinese con figure in rilievo: sulla parte superiore vi
è una testa di leone e un drago, tra l’imboccatura e il primo foro vi è una
fenice e al piede un drago. Questo strumento è realizzato in giada, materiale
che ha un importante ruolo nella cultura antica cinese. Il valore spirituale
del flauto in giada è notevole, perché, oltre a simboleggiare la nobiltà,
rappresenta un simbolo sacro legato ai riti della divinazione, ritenendo fosse
in grado di scacciare gli spiriti maligni e di donare l’immortalità.
N. 100. Bonshō (梵鐘, campana
buddista) piccolo, costruito nel XIX secolo in Cina. Campana antica in bronzo
utilizzata all’interno del tempio buddista, realizzata con la tecnica
artigianale della cera persa. Le dimensioni sono: altezza mm. 149 diametro 108.
Sulla faccia anteriore vi è l’immagine del Budda dorato, su tutto il resto del
corpo vi sono iscrizioni in cinese mentre sulla cupola vi sono quattro
iscrizioni dorate. La parte inferiore è costituita da una frangia a otto piedi.
Questa campana, nota anche come tsurigane (釣り鐘,
campana sospesa) si trova nei templi buddisti, ed è utilizzata per convocare i
monaci alla preghiera e per delimitare periodi di tempo. Invece di contenere un
batacchio, i bonshō vengono colpiti dall'esterno, utilizzando un maglio
portatile o una trave sospesa su corde. Le campane sono solitamente realizzate
in bronzo, utilizzando una forma di fusione a cera persa. Sono solitamente
ornate con una varietà di borchie, fasce in rilievo e iscrizioni. Il bonshō
svolge un ruolo importante nelle cerimonie buddiste, in particolare nelle feste
di Capodanno e Bon. Il bronzo di questi strumenti è una lega con un rapporto di
circa 17 a 3 tra rame e stagno; l'esatta miscela (così come la velocità del
processo di raffreddamento) può alterare il tono del prodotto finale.
N. 101. Flauto a coulisse in bambù, costruito in
Thailandia negli ultimi decenni del XX secolo. Questo è uno strumento che imita
i gorgheggi acuti degli uccelli, è spesso utilizzato come giocattolo sonoro ma
può eseguire anche semplici melodie sfruttando la capacità di produrre il
glissato È costituito da un cilindro in bambù senza nodi del diametro di mm.
15, con una imboccatura e un labium all’apice e un cilindretto interno
scorrevole: complessivamente è lungo mm. 185 col pistone completamente incluso
mente mm. 385 quando il pistone è completamente estruso. Si suona soffiando nel
corpo dello strumento e facendo scorrere la bacchetta interna per cambiare
nota.
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